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Arethusa

Apocrifi dell'Antico Testamento

Apocrifi dell'Antico Testamento

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Secondo una tradizione antichissima, il male ebbe origine quando tra gli uomini nacquero “ragazze belle di aspetto”, e “gli angeli, figli del cielo, le videro e se ne innamorarono”. Da quel momento, con la discesa degli angeli e la loro unione con gli esseri umani, il peccato si diffuse su tutta la Terra. Questo mito delle origini, non incluso nel canone della Bibbia, è raccontato in uno dei testi attribuiti al patriarca Enoc in cui si intrecciano profonde riflessioni sul male e sul rapporto dell’uomo con Dio, scandagliate dagli ebrei fin dal tempo del travagliato esilio babilonese.

Non è un caso isolato. È da versioni parallele di tal fatta che fiorirono rami secondari e dimenticati della tradizione biblica, specchio della varietà d’idee che serpeggiava nella Palestina del giudaismo precristiano: visioni teologiche alternative, spesso apertamente confliggenti con le posizioni ufficiali, che approdano fino al II secolo d.C., ponendo le basi delle comunità protocristiane.

Composizioni come le “apocalissi”, i testamenti di patriarchi e le raccolte di proverbi e salmi si mescolano, sotto strati di secoli, a immaginifici miti e compilazioni cosmogoniche, fino a perdersi nel tempo e scomparire sotto i colpi dell’ortodossia. Fu così che gli Apocrifi dell’Antico Testamento – qui raccolti in un nucleo di testi significativi, mai tradotti prima in italiano – furono trascurati per millenni e rivalutati nella loro importanza cruciale solo dopo i rinvenimenti di Qumran. A curarne la ricca e preziosa edizione Utet, in due volumi, è Paolo Sacchi, illustre biblista, considerato il padre dei nuovi studi giudaici italiani.

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